Un ingegnere militare per la “Vigna” del Principe - Ascanio Vitozzi (1539 – 1615)
- Simone Fiammengo
- Feb 9
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L’impianto architettonico di Villa della Regina, con il giardino a forma di anfiteatro, i terrazzamenti, le finte grotte, le fontane e la posizione dell’edificio in centro alla proprietà, è stato eseguito su progetto ideato dall’architetto ducale e capitano Ascanio Vitozzi di Orvieto.
Ascanio Vitozzi non rientra nella classica figura dell’architetto a cui siamo abituati a pensare. Ascanio è in primo luogo un militare (combatte in innumerevoli battaglie, sia per conto dello stato pontificio che per il ducato sabaudo) mantenendo la carica di capitano fino alla morte, è un ingegnere militare (progetta e farà realizzare innumerevoli fortezze nel ducato sabaudo), è un urbanista (ridisegna parte dell’attuale centro della città di Torino e del circondario), è un architetto (sono suoi i progetti per la costruzione del nuovo palazzo ducale, oggi reale, e tutti i progetti per le varie residenze ducali tra cui anche l’attuale Villa della Regina).
Ascanio nacque nel 1539, in un mese non precisato, in seno alla famiglia Vitozzo (o Vitozzi), ramo collaterale della famiglia Baschi di Orvieto che a loro volta era imparentata con le più influenti famiglie aristocratiche romane. Tuttora permangono delle lacune sul luogo della nascita: alcuni documenti ufficiali del tempo indicano come luogo di nascita Orvieto, ma secondo alcune ricerche è probabile che sia nato a Bolsena o nelle immediate vicinanze, dove la famiglia risiedeva e aveva un feudo. Poche le notizie anche sulla sua vita privata. Pare non si sia mai sposato, ma ebbe una figlia in tarda età, Angela Lucrezia, che – legalmente riconosciuta - alla sua morte avrà diritto a portare per sé e i futuri eredi lo stemma di famiglia. Sappiamo anche che Ascanio rimase orfano di padre in giovane età, e venne quindi affidato per l’addestramento militare alla famiglia Colonna con cui era imparentato. Con il comandante Prospero Colonna partecipò alla battaglia di Lepanto (1571) contro gli Ottomani come capitano di fanteria, e sempre sotto lo stesso comandante partecipò anche alle battaglie di Tunisi e Biserta nel 1573.
Se la sua carriera militare è ben documentata, sul suo apprendistato come architetto non si hanno notizie certe. Sicurante era in contatto con il mondo culturale e artistico di Roma, poiché frequentava la corte papale e aveva conosciuto artisti dell’epoca come Michelangelo, Sangallo e il Vignola. Mancano, però, le prove certe di un travaso diretto di competenze, anche se su alcuni edifici progettatati da Ascanio si possono vedere chiari riferimenti all’opera di Antonio da Sangallo. Molto probabilmente il suo apprendistato è avvenuto ad Orvieto con Ippolito Scalza (1532 – 1617), scultore e architetto per la fabbrica del duomo di Orvieto. Facile quindi presumere che sia stato proprio lui a trasmettergli lo stile di Antonio da Sangallo per i suoi progetti architettonici.
Il suo cammino professionale presso la corte sabauda ebbe inizio in occasione della partecipazione al bando indetto dal duca Carlo Emanuele I per la realizzazione del Palazzo Nuovo Grande (l’attuale Palazzo Reale). All’epoca Torino era diventata con il nuovo duca - subentrato al padre Emanuele Filiberto - capitale del Ducato dei Savoia, ed era quindi necessaria una sede all’altezza del nuovo rango. Ascanio giunse a Torino il 1° ottobre 1584 nel ruolo di architetto e ingegnere con uno stipendio annuo di 300 scudi, e iniziò subito i lavori per la costruzione del nuovo palazzo ducale con i suoi giardini e del casino sul bastion Verde (ancora oggi presente anche se il loggiato è stato chiuso). La sua opera però non si limitò al solo palazzo, ma coinvolse anche la piazza antistante (oggi Piazza Castello) ed il castello degli Acaia (oggi Palazzo Madama), con la sistemazione della manica di collegamento tra il nuovo palazzo e il castello. La piazza venne lastricata e furono costruiti i portici per regolarizzare le facciate dei palazzi che si affacciavano su di essa, che in questo modo assunse un aspetto regolare e uniforme. Il riassetto urbano non si limitò alla sola risistemazione del nuovo centro del potere sabaudo, ma ridefinì gli aspetti urbanistici della città con l’apertura dell’asse viario che collegava la piazza alla sede del Palazzo di Città. Il progetto di Vitozzi si estese anche all’esterno delle mura cittadine, così da comprendere i possedimenti extraurbani del duca Carlo Emanuele I, che entrarono quindi a far parte della città diventando un’estensione ideologica e funzionale del palazzo e del potere ducale. Nel tempo i possedimenti intorno a Torino vennero tutti collegati alla città tramite un sistema viario, le cosiddette “Strade Reali”, che hanno come fulcro il palazzo ducale. Ancora oggi si possono vedere nel tessuto urbano della Torino moderna alcune di queste strade, come Corso Francia (che collega il Castello di Rivoli) e Via Po (che collega Villa della Regina). L’architetto ridisegnò alcune delle residenze esterne alla città rendendole più moderne e al passo con i tempi, ed è in questo grande progetto urbanistico che si inserisce il progetto per la vigna del principe cardinale Maurizio di Savoia (oggi Villa della Regina).
La scelta del luogo nel quale edificare la villa rimanda all’impianto urbanistico progettato da Vitozzi per l’ampliamento della città verso il Po, in cui la proprietà è concepita come un fondale scenografico impresso nella collina, in posizione elevata e visibile dalla città chiusa dentro le mura. Vitozzi scelse, quindi, per il Cardinale una conca naturale che si apriva sulla dorsale collinare diramandosi a ventaglio verso il fiume Po, privilegiando l’aspetto della particolare forma naturale del terreno che viene valorizzata e presa come modello per generare lo spazio del giardino a forma di teatro. Il riferimento architettonico alle ville romane è palese: sia l’architetto che il committente, il principe cardinale Maurizio di Savoia, conoscevano e frequentavano la corte papale, ed infatti l’architettura dell’edificio e l’impianto dei giardini evidenziano dei chiari richiami con le ville romane, come ad esempio Villa Aldobrandini a Frascati e Villa d’Este a Tivoli. Tutte sono caratterizzate dal fatto che l’edificio padronale è posto al centro della proprietà, ed è circondato dal giardino composto da innumerevoli fontane e giochi d’acqua. Alla villa si accede tramite un percorso unico in linea retta, fiancheggiato da alberi, che dal ponte sul Po porta direttamente al grand rondeau con la grande vasca circolare circondata da scalee che conducono alla terrazza superiore con l’ingresso della residenza. Analizzando il progetto vitozziano, si vede come l’edificio sia posto all’incrocio tra l’asse principale, formato dal grande viale alberato di accesso alla villa (che si protende idealmente ben oltre l’edificio attraversando il salone d’onore aperto sul cortile semicircolare retrostante fino ad arrivare al bel vedere centrale collegato da una gradinata), e l’asse trasversale che lega i due giardini laterali sulle terrazze. Per il grande emiciclo sul retro della villa vennero realizzate statue e nicchie attraversate da un percorso d’acqua che in forme sempre diverse si manifestava nelle fontane, nei bacini, nei salti e negli spruzzi. Sempre sul pendio vennero realizzate grotte artificiali ornate con mosaici di conchiglie che ospitano al suo interno altre statue. Vitozzi purtroppo non vedrà mai realizzato il suo progetto, in quanto morirà nel 1615, prima che fossero iniziati i lavori per la vigna del Principe Cardinale. I lavori verranno portati avanti e completati da Carlo di Castellamonte che era succeduto nella carica di architetto ducale alla morte di Ascanio.
Ancora oggi si può notare come il progetto di Vitozzi sia perfettamente aderente alle concezioni architettoniche di fine XVI - inizio XVII secolo, dove gli elementi plastici si fondono con gli elementi naturali creando uno spazio artificioso, dilatato, aperto e ricco di percorsi e assi visivi: a mano a mano che ci si allontana dalla villa, il giardino, le forme delle aiuole e le terrazze si fanno più libere aprendosi all’esterno e unendosi al territorio circostante. Si deve quindi all’architetto orvietano di aver portato nella Torino sabauda un innovativo esempio di architettura collinare, ritemprando e adattando lo stile del giardino barocco alla vigna del Cardinale Maurizio.