Arredi a Villa della Regina – I piani in scaiola
- Simone Fiammengo

- Oct 7
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Come era arredata la Vigna (oggi Villa della Regina) del cardinal Maurizio di Savoia nel XVII secolo? Maurizio e sua moglie Ludovica di Savoia erano entrambi raffinati collezionisti, dal gusto ricercato e attenti alle tendenze della moda. Oggi del patrimonio mobiliare del XVII secolo commissionato da Maurizio e Ludovica rimane ben poco a causa dei vari passaggi di proprietà, dei cambi di gusti e dei rimaneggiamenti degli ambienti effettuati dai successivi proprietari. Però, grazie agli inventari e al materiale d’archivio, gli studiosi hanno potuto rintracciare gli arredi superstiti e alcuni di essi sono ritornati ad abbellire Villa delle Regina.
Si tratta principalmente di piani in scaiola (un impasto a base di gesso) ad imitazione dei piani in ebano e avorio e dei piani in commesso di pietre dure, tipologie molto in voga nel ‘600 e pertanto molto richieste da tutte le corti europee. La lavorazione dell’ebano e dell’avorio era praticata fin dalla fine del XVI secolo in nord Europa e si diffuse nei regni italiani con l’emigrazione degli artigiani presso il Granducato di Toscana e il Vicereame di Napoli. La città di Napoli, in particolare, si affermò come importante centro di produzione di preziosi mobili intarsiati in ebano e avorio grazie alla maestria di abili ebanisti come Iacobo Fiamengo e Giovanni Battista De Curtis, produzione alimentata dalle committenze delle corti europee sempre alla ricerca di oggetti preziosi e d’arte. Anche Maurizio, sempre attento alle mode, e visto il ruolo che ricopriva di cardinale di casa Savoia, acquistò nel 1629 uno scrittoio “venuto da Napoli”, purtroppo oggi andato perduto.
A causa dell’alto costo di acquisto e dell’eccesso di domanda di questa tipologia di lavorazione, si affermò come alternativa valida ed economica la scaiola, un espediente per ottenere con minor spesa e maggior rapidità prodotti di lusso molto ambiti. Anche se la scaiola costava di meno e poteva sembrare un surrogato economico, in realtà era molto apprezzata. Infatti la sua facilità di lavorazione permetteva di ottenere effetti di colore e di trompe-l’oeil impensabili con i materiali più nobili, soprattutto quando andavano ad imitare i commessi di pietre dure e marmo che erano meno malleabili. La committenza che sceglieva la scaiola rimaneva, quindi, affascinata e ammirata dal virtuosismo per l’arte, in grado di eguagliare e superare la natura. La lavorazione della scaiola era monopolio di maestranze, spesso itineranti, luganesi, ticinesi, comasche e tedesche che nel ‘600 si radicarono a Carpi (oggi in provincia di Modena) nel ducato estense con delle peculiarità negli schemi compositivi, nei modelli, nelle tecniche esecutive che rendevano inconfondibili i manufatti. Non si trattava solo di esecutori abili nella manipolazione della materia, ma di veri e propri artigiani – artisti dotati di competenze in campo architettonico, che possedevano e usavano repertori di modelli, non solo disegnativi, ma anche di figura, pittura e scultura.
A Villa della Regina erano collocati una serie di piani in scaiola nera e con decorazioni bianche a imitazione dell’ebano e dell’avorio, oggi mancanti però dei loro supporti in legno, deperiti con il passare dei secoli. Di particolare pregio è la tavola con la scena di Venere che rimprovera Cupido, una di una serie di quattro tavole con lo stesso soggetto mitologico, molto probabilmente collocate come tavole da muro alle pareti di un ambiente con decorazioni simili, nell’appartamento della principessa Ludovica. Di fattura molto simile, ma ispirato ai repertori decorativi tessili, è un piano con “fiorami e frutti ed animali banchi a due bordi interni a fondo negro”, ad imitazione di un merletto ispirato ai modelli tardo quattrocenteschi del medio oriente. Nella tavola centrale è stata riprodotta una tovaglietta traforata proprio ad imitazione del merletto. Altre due tavole si trovano oggi al museo Civico di Palazzo Madama e presentano “foraggi bianchi” e ovale al centro con uccelli e agli angoli interni l’aquila bicipite coronata. Le tavole sono state probabilmente realizzate nel settimo/ottavo decennio del seicento, e visto lo stile sono attribuibili a Simone Setti (1615 – 1680) abile artigiano – artista emiliano, che quindi le riconduce alla committenza e al gusto di Ludovica, ai tempi vedova di Maurizio (venuto a mancare nel 1657). Questi oggetti sono estremante fragili ed è proprio questa caratteristica che ha permesso la loro sopravvivenza fino a noi. Infatti nel XVIII secolo si trovavano ancora a Villa della Regina e dall’inventario stilato nel 1755 sappiamo che erano stati collocati in ambienti meno aulici della villa. Con la trasformazione successiva nell’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari Italiani, nel 1865 vennero in parte trasferiti al Museo Civico di Palazzo Madama e in parte nei magazzini.
Come era realizzata la scaiola? Gli ingredienti sono il gesso, colle e polveri colorate. Il gesso cotto (scaiola) veniva ridotto in polvere, mescolato con acqua aggiungendo un legante che con l’asciugatura induriva la scaiola. Si potevano usare vari colori derivanti dalle terre, dai minerali, dai vegetali e dalle lacche ottenute con materiali locali o importate come l’indaco, ma fondamentali erano i pigmenti neri. Si preparava un piano di supporto in gesso rinforzato da un cannucciato o con della paglia, sopra il quale veniva steso uno strato di pochi centimetri di scaiola impastata con acqua e colla ben spianata e levigata. Si riportava il disegno a spolvero, dopodiché si scavava con piccoli scalpelli e sgorbie seguendo il tracciato. Il solco si riempiva di bianco o di nero per ottenere l’effetto di una stampa o di un disegno a penna; per i soggetti a più colori si procedeva con più solchi. I modelli delle decorazioni erano spesso le stampe da cui si traggono i cartoni preparatori, utilizzati in molte opere specialmente per i bordi e i motivi floreali.

