Maurizio di Savoia (1593 – 1657) - Mecenate e collezionista
- Simone Fiammengo

- May 16
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Come scritto nell’articolo di storia “Maurizio di Savoia (1593 – 1657) – Principe, cardinale e diplomatico” (pubblicato il 1° aprile) il principe cardinale Maurizio era anche un mecenate e raffinato collezionista di opere d’arte. La sua passione per l’arte si può far risalire al periodo in cui ricopriva la carica di cardinale e ambasciatore del ducato di Savoia presso il Papa, allorché ebbe la possibilità di frequentare l’ambiente culturale romano, molto attivo e vivace, entrando quindi in contatto con importanti artisti, collezionisti e intellettuali. A Roma entrò anche in contatto con numerosi circoli letterari e filosofici la cui influenza lo spinse a creare, nel palazzo dove alloggiava, l’accademia denominata “dei Desiosi”, nella quale venivano discussi vari argomenti, si recitavano pièce teatrali accompagnate da musica e si recitavano poesie. Una volta terminata la sua carriera cardinalizia a seguito del matrimonio con la nipote Ludovica di Savoia (1629 – 1692), trasferì le sue collezioni nella villa che si era fatto costruire sulla collina a Torino, oggi Villa della Regina. Qui fondò l’accademia dei Solinghi, su modello di quella fondata a Roma, da cui prende il nome l’omonimo padiglione nel giardino. Alla morte di Maurizio tutte le sue proprietà e collezioni - per volere testamentario - passarono a sua moglie Ludovica, la quale le ampliò ulteriormente. Oggi di quella collezione rimane ben poco, a causa dei successivi passaggi di proprietà della villa, che portarono alla dispersione delle opere.
A Roma il cardinale Maurizio soggiornava in affitto in un’ala di Palazzo Orsini a Montegiordano (oggi palazzo Taverna nel rione Ponte) destinato a Paolo Giordano II (1591 – 1656) duca di Bracciano, residenza molto sfarzosa e situata in una zona strategica del centro città. Maurizio ne fece un centro non solo di potere, ma anche di mecenatismo artistico e culturale rivaleggiando con gli altri cardinali e aristocratici per fasto, lusso, mondanità e patronage di artisti e letterati. Nel 1624 fondò all’interno delle sale del palazzo l’accademia dei Desiosi e, grazie all’intermediazione di Paolo Giordano II, si mescola l’entourage franco – sabaudo con il milieu culturale romano, di cui facevano parte il cardinale Fabio Chigi (1599 – 1667) futuro Papa Alessandro VII, il cardinale Giulio Rospigliosi (1600 – 1669) futuro Papa Clemente IX e Franceso Maria Sforza Pallavicini (1607 – 1667) ai tempi non ancora cardinale. Il palazzo di Montegiordano divenne, quindi, un polo di mecenatismo culturale nel quale gravitavano musicisti come: Sigismondo d’India (1582 – 1629), Stefano Landi (1587 – 1639) e Filippo Albani (1585 – 1632), oltre a pittori come: Giovanni Giacomo Sementi (1580 – 1636), Niccolò Tornioli (1598 – 1651), Francesco Albani (1578 – 1660), e Frédéric Scalberg, nonché architetti come Orazio Torriani (1578 – 1657), Paolo Sanquirico (1565 – 1630) e Carlo Rainaldi (1611 – 1691). Proprio con quest’ultimo - diventato nel frattempo consigliere per l’architettura della reggente duchessa Cristina nel 1643 - Maurizio rimase in contatto anche dopo il suo ritorno a Torino, al punto da commissionargli alcuni progetti urbanistici, mai realizzati, per Torino e per la Cappella della Sindone del Duomo di San Giovanni.
Come detto, la collezione di opere d’arte venne iniziata dal Cardinale Maurizio a Roma nel palazzo di Montegiordano, acquistando e commissionando opere dei pittori Guido Reni (1575 – 1642), Domenichino (1581 – 1641), Francesco Albani (1578 – 1660) e Ottavio Leoni (1578 – 1630). Il rapporto di committenza con Guido Reni, pittore già affermato, iniziò nel 1624 allorché Maurizio commissionò al famoso artista un dipinto sulla “Visione di San Maurizio”, che il cardinale donò alla chiesa dei cappuccini di Santa Maria dei Laghi di Avigliana. Maurizio, per essere all’altezza degli altri cardinali, prese sotto il suo patronato l’allievo di Guido Reni Giovanni Giacomo Sementi (1593 – 1636). Per Maurizio, Sementi non era solo un pittore, ma fungeva da vero e proprio agente intermediario presso altri artisti, mansione che rientrava nel suo salario; la fiducia che il cardinale riponeva nel suo protetto era tale che a lui affidò il trasporto a Torino nel 1629 de “I quattro elementi” dipinti da Franceso Albani (oggi conservati nella Galleria Sabauda). Il legame di fiducia tra i due divenne così forte che il pittore assunse anche il delicato ruolo di servitore. Grazie al ruolo di salariato del cardinale, al Sementi si aprirono le porte della committenza erudita dell’Accademia dei Desiosi, per cui il nome del pittore iniziò a diffondersi presso i vari circoli di intellettuali, i quali componevano testi poetici e brevi sonetti ispirati direttamente alle opere del pittore. Sementi realizzò per la cerchia del cardinale dipinti allegorici legati alle varie accademie di cui facevano parte e per l’accademia dei Desiosi realizzò un dipinto, identificato nel 2010 in un quadro appartenente alle collezioni del Credito Emiliano, che rappresenta una figura femminile seduta su una pila di libri che alza al cielo un ramo di alloro, circondata dei putti che rappresentano con i loro attributi l’allegoria della poesia, la musica e le armi. Il rapporto tra il pittore e Maurizio non si esaurì con la partenza del mecenate per Torino, ma anzi continuerà nel tempo, con altre commissioni e altri pagamenti per l’intermediazione di acquisto di altre opere; inoltre gli lasciò la possibilità di vivere nel palazzo di Montegiordano con la sua famiglia fino alla sua morte avvenuta nel 1636.
Nell’accademia si portavano in scena anche opere teatrali come: commedie, poesie, tragedie e altri racconti che potevano essere accompagnati dalla musica. Purtroppo il corpus delle opere dedicate a Maurizio è molto esiguo, solo 6 (Drammi Musicali, Favole, l’Apollo, Rime, Poesie Eroiche, Applausi Festivi) composte dal 1627 al 1637; molto probabilmente gli accademici per le rappresentazioni si attingeva ad opere già pubblicate o si rivolgevano a compagnie che rappresentavano un proprio repertorio. A Roma, quindi, Maurizio creò un vero e proprio centro culturale integrato perfettamente all’interno del vasto e variegato panorama culturale romano, attraendo artisti e personaggi del mondo ecclesiastico e politico, per cui l’accademia diventò di fatto uno strumento nelle mani del cardinale per tessere nuove alleanze.
Una volta tornato a Torino in pianta stabile, dopo la sconfitta per la tutela del giovane nipote Carlo Emanuele II a favore della reggenza della madre Cristina e il matrimonio con sua nipote Ludovica di Savoia e la conseguente rinuncia al cardinalato (si veda l’articolo Maurizio di Savoia (1593 – 1657) – Principe, cardinale e diplomatico), Maurizio replicò nella sua proprietà in collina, oggi Villa della Regina, lo stesso ambiente culturale e collezionistico che aveva creato a Roma. La sua collezione romana venne trasferita a Torino e divisa tra Villa della Regina, dove posizionò la maggior parte delle opere, e Palazzo Chiablese. Inoltre fondò nei giardini della villa l’accademia dei Solinghi su impronta di quella dei Desiosi di Roma, di cui abbiamo una chiara rappresentazione grazie alla tavola incisa da Giovenale Boetto del 1654. L’accademia aveva una forma semicircolare ed era circondata da un portico dove, sopra l’architrave, erano posti dei busti di filosofi con al centro il busto di Maurizio di Savoia, sotto il quale si leggeva l’iscrizione “Ingeniorum Mecenati Sacrum”. Al centro del semicerchio c’era uno specchio di forma conica nel quale era riportato nel riflesso il motto dell’accademia “Omnis in unum”, ricavato da un verso dell’Eneide di Virgilio. Lo specchio conico o a forma di colonna, venne inventato a Parigi nel 1627 ed era uno strumento che permetteva di ricomporre nel suo riflesso segni deformi in testo compiuto, ed è proprio ciò che accadeva nello specchio conico al centro dell’accademia, nel cui riflesso era ricomposto il motto. Nell’accademia, come accadeva a Roma, si recitavano madrigali e sonetti, si disquisiva di filosofia, matematica, ingegneria, arte militare, politica e nuove scoperte. Oggi dell’accademia dei Solinghi non rimane nulla se non il nome del padiglione posto alla destra dell’emiciclo del giardino costruito nel XVIII secolo.
Oltre all’accademia la villa divenne un teatro di feste, bacchetti e altri divertimenti per la corte e gli aristocratici vicini a Maurizio. Il principe continuò a ingrandire la sua collezione di opere d’arte per la villa acquistando e commissionando dipinti da Domenico Fea di Chieri, Andrea Casella (1619 – 1685) e altri artisti fino alla sua morte, avvenuta nel 1657.
